IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 594/1987 proposto da Biscarini Pietro rappresentato e difeso dall'avv. Renato Cesarini, presso cui e' elettivamente domiciliato in Perugia, viale P. Pellini n. 31 giusta procura a margine del ricorso introduttivo, contro il Ministero di grazia e giustizia, il Ministero del tesoro, in persona dei rispettivi ministri pro-tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'avvocatura distrettuale dello Stato di Perugia presso cui sono domiciliati in Perugia, per il riconoscimento del trattamento economico di cui all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, e la condanna delle amministrazioni intimate al pagamento di quanto dovuto con rivalutazione monetaria, interessi compensativi e per l'accertamento del diritto alla liquidazione della buonuscita anche su tali emolumenti; Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio dei Ministeri di grazia e giustizia e del tesoro; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Udita alla pubblica udienza del 25 gennaio 1989 la relazione del referendario avv. C. Zucchelli e uditi, altresi', l'avv. Cesarini per il ricorrente e l'avv. Melelli per le amministrazioni resistenti; Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue: ESPOSIZIONE IN FATTO Il ricorrente, magistrato ordinario collocato a riposo, ha fruito durante il servizio degli aumenti periodici di cui alla legge 16 dicembre 1961, n. 1308, pari al 2,50% per ogni biennio di permanenza nella stessa funzione e qualifica. Con decisione n. 27 dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato del 10 dicembre 1983, sul presupposto della abrogazione ad opera dell'art. 18 della legge 2 aprile 1979, n. 97, dell'art. 3 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, e' stato ritenuto applicabile ai magistrati ordinari il meccanismo di cui all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, il quale prevede la riliquidazione, nelle qualifiche superiori via via raggiunte, dei sei anni di anzianita' figurativa concessi al raggiungimento della qualifica di primo referendario della Corte dei conti, e cio' a partire dalle qualifiche dell'ordine giudiziario corrispondenti. Dopo l'entrata in vigore della legge 6 agosto 1984, n. 425, e la sentenza della Corte costituzionale n. 1234 del 7 aprile 1987, il ricorrente adisce questo tribunale per il riconoscimento degli emolumenti risultanti dall'applicazione del detto art. 5 lamentando: 1) premesso il carattere vincolante delle norme legislative di interpretazione autentica, osserva il ricorrente che ove la norma non dovesse assumere il significato di una migliore lettura della norma esistente, ad essa dovrebbe attribuirsi il significato e la intenzione di normativa tendente ad influire sulla necessita' contigente, con cio' non sfuggendo ai dubbi di incostituzionalita' gia' prospettati con l'ordinanza dell'A.P. del C.d.S. del 23 ottobre 1984; 2) lamenta inoltre la incostituzionalita' dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, in quanto diretta ad eludere il diritto alla difesa del cittadino ed a perpetuare la differenza di trattamento tra le categorie di magistratura ordinaria e contabile. Osserva comunque che, come rilevato dall'ordinanza della IV sez. del C.d.S. del 23 ottobre 1984, n. 141, l'alternativa poteva consistere solo nel riconoscimento della parita' di trattamento tra le due categorie di magistrati o nell'invio alla Corte a seguito dei dubbi di costituzionalita', ma che risolti questi ultimi in via interpretativa non resta che l'accoglimento delle pretese dei ricorrenti, ovvero, ostando a cio' l'interpretazione autentica, la riproposizione di dubbi costituzionali. Cio' in particolare, riguardo alla differenziazione di trattamento economico tra magistrati ordinari e contabili in relazione agli artt. 3 e 36 nonche' 101 e 113 della Costituzione; 3) lamenta, infine, la incostituzionalita' dell'art. 3 della legge n. 425/1984 nella parte in cui attua una disparita' di trattamento tra magistrati in servizio e quelli a riposo dal 1 gennaio 1979. Con successiva memoria ribadisce il ricorrente le censure di incostituzionalita' degli artt. 1, secondo comma, e 3 della legge n. 425/1984 chiedendo la remissione alla Corte per la soluzione del giudizio incidentale. Si costituiscono in giudizio i Ministeri di grazia e giustizia e del tesoro eccependo: 1) che la Corte costituzionale ha gia' respinto l'eccezione di incostituzionalita' circa l'art. 1, secondo comma, della legge n. 425/1984, riconoscendone l'indubbio valore interpretativo, rivolto per altro al passato e non alle situazioni future disciplinate mediante la stessa legge; 2) che anche dopo l'emanazione della legge 2 aprile 1979, n. 97, occorre riferirsi, nella definizione di norme di carattere generale relative al trattamento economico, alla disciplina generale sul pubblico impiego e non a norme speciali relative categorie specifiche, come quella dei magistrati della Corte dei conti; 3) che la questione di incostituzionalita' dell'art. 1, secondo comma, della legge n. 425/1984 e' stata rigettata con sentenza n. 413 del 24 marzo-7 aprile 1988 della Corte costituzionale; 4) che rientra infine nella discrezionalita' legislativa la determinazione di progressioni economiche e di carriera legate a decorrenze determinate, senza che cio' violi precetti costituzionali. Premesso quanto sopra, il collegio, rilevato: che il ricorrente, magistrato, ha adito questo tribunale per il riconoscimento dei sei aumenti periodici figurativi sullo stipendio base della qualifica a quella data posseduta, nonche' gli ulteriori aumenti periodici ex art. 1, quinto comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080; che il ricorrente prospetta che la limitazione di tali benefici retributivi ai soli magistrati della Corte dei conti appare contrastare con i principi, espressi nella Carta costituzionale, della visione unitaria della magistratura; che il disposto dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, che ribadisce la spettanza di tali benefici ai soli magistrati della Corte dei conti, appare contrastare con il principio unitario riconosciuto costituzionalmente; che la questione di illegittimita' costituzionale della disposizione della legge n. 425/1984 non appare manifestamente infondata, considerati i principi stabiliti dal legislatore costituzionale; che, invero, nel titolo IV della parte prima della Costituzione l'ordinamento giudiziario viene unitariamente considerato; che, si afferma, sub art. 101, l'unitarieta' di tale ordinamento, sviluppantesi in quattro organismi: 1) giudice ordinario; 2) giudice amministrativo; 3) giudice contabile; 4) giudice militare, distinguentisi solo funzionalmente (art. 107, terzo comma); che la considerazione unitaria dell'ordinamento giurisdizionale e' ulteriormente evidenziata dalla disposizione dell'art. 102 della Costituzione, che, al secondo comma, vieta la istituzione di giudici straordinari o di giudici speciali, attraverso, ancora, l'espressione di principi comuni a tutto l'organismo giudiziario, relativi al loro status, con l'affermazione del costituire la magistratura un ordine autonomo ed indipendente (art. 104, primo comma), della sua indipendenza e della riserva legislativa (art. 108), con l'affermazione per tutti i provvedienti della magistratura dell'obbligo della motivazione, con la distinzione dei magistrati "soltanto per la diversita' di funzioni" (art. 107, terzo comma); che questa configurazione unitaria dell'ordinamento giudiziario ha evidenti riflessi sul trattamento economico della magistratura tutta; che, infatti, gia' nella sentenza n. 1/1978 della Corte costituzionale si evidenziava la costante preoccupazione del legislatore "di garantire un parallelismo economico con i magistrati ordinari" degli altri appartenenti all'ordine giudiziario; che l'ordinamento giudiziario, cosi' come delineato dal legislatore costituzionale, comprende non solo gli organismi giudiziari in senso stretto, il giudice ordinario, ma anche quello amministrativo, contabile, militare (Cons. Stato, ad. plenaria dec. 16 dicembre 1983, n. 27); che tale concezione impone l'identita' del trattamento economico di tutti gli appartenenti all'ordinamento giurisdizionale; che, invero, la ratio legis, che abbraccia l'insieme delle singole disposizioni legislative mira a sancire l'equilibrio delle retribuzioni per tutte le categorie dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili, militari (Corte costituzionale sentenza n. 413/1988); che tale identita' ha informato la legge n. 425/1984; che, pertanto, talune disposizioni di questa legge non appaiono consone ne' rispecchiare tale ratio, quale quella del secondo comma dell'art. 1, sopra riportato, ribadente una posizione privilegiata per i magistrati della Corte dei conti; che tali norme, quindi, appaiono contrastare con le disposizioni sopra riportate del titolo IV, parte prima, della Costituzione e non rispettano i principi di ragionevolezza, non essendo adeguate alla ratio legis che vuole l'equilibrio delle retribuzioni di tutte le categorie dei magistrati; che con ordinanze in data 16 ottobre 1987 e 4 febbraio 1988 il C.d.S. ha rimesso alla Corte costituzionale la questione riguardante il contrasto del ripetuto art. 1 con gli artt. 3 e 36 della Costituzione nonche' dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97, in relazione agli artt. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308, art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, per violazione degli artt. 3 e 36 della Costituzione; che in tale sede si osservava come il legislatore con la dispozione di cui all'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, non ha voluto ristabilire in via generale, astratta e tendenzialmente permanente una disciplina in ipotesi male intesa o male applicata dai giudici: che' anzi, tutto al contrario, quando ha voluto disporre in via generale, astratta e permanente ha statuito proprio in senso conforme alla giurisprudenza, e piu' precisamente in senso assolutamente identico alle sentenze, relativamente alla questione della indennita' speciale ed in senso analogo sulla questione degli "scatti" di anzianita' (recependo cioe' il principio dell'identita' di disciplina tra i magistrati della Corte dei conti e tutti gli altri); che, pertanto, traspare l'inesistenza di una volonta' diretta a ristabilire l'ordine giuridico nell'interesse pubblico generale, e si rivela, all'opposto, una volonta' diretta esclusivamente, o prevalentemente, a svalutare la funzione giurisdizionale e, con essa, il diritto alla difesa costituzionalmente garantito (art. 24 della Costituzione); che quel sacrificio della funzione giurisdizionale, che e' insito in ogni intervento d'interpretazione autentica, puo' essere accettabile e giustificato quando la sua finalita' e' quella di chiarire e precisare, per il passato e per il futuro, la regola, o, al limite, di modificarla sub specie d'interpretazione; non lo e' piu', o non altrettanto, quando la finalita' e' solo quella di smentire i giudizi, togliere effetto alle sentenze gia' pronunciate, e alterare il corso prevedibile dei giudizi pendenti, il tutto peraltro nel contesto di un intervento di piu' ampio contenuto il cui risultato finale "a regime", e' ispirato agli stessi criteri dell'interpretazione giurisprudenziale; che si denuncia, dunque, un contrasto con l'art. 24 della Costituzione, nella forma della violazione del diritto dei privati interessati di agire e difendersi in giudizio; che insieme all'art. 24, sembra violato anche il combinato disposto degli artt. 102 e 103 della Costituzione, intesi nel loro insieme come fondamento e garanzia di una funzione giurisdizionale (articolata in giustizia ordinaria e giustizia amministrativa) distinta da quella legislativa e di uguale dignita' ed originarieta' rispetto ad essa; che generalmente si ammette che l'interpretazione legislativa autentica non costituisca violazione del principio della separazione dei poteri; ma cio' si e' sempre detto rispetto al fenomeno normale, cioe' quello del legislatore che stabilisce (o ristabilisce) una regola valevole essenzialmente per il futuro, e solo accessoriamente, derivatamente, resa applicabile anche nelle controversie pendenti; mentre il caso in esame, come si e' gia' detto, e' diverso; che la violazione e' delle suddette norme (artt. 24, 102 e 103) ricorre dunque nella figura dell'eccesso di potere legislativo, cioe' nella figura dell'uso distorto (come si palesa grazie alle circostanze di fatto ed all'ambito ristrettissimo, quasi una tantum, della applicazione) di un potere astrattamente compatibile con la Costituzione, quale il potere d'interpretazione autentica; che la vicenda giudiziaria culminata con la decisione del 10 dicembre 1983, n. 27, dell'adunanza plenaria (cit.), e' stata dominata proprio dalle questioni di costituzionalita' relative alle leggi che i giudici amministrativi erano allora chiamati ad interpretare; che le questioni di costituzionalita' sono state accantonate non perche' ritenute irrilevanti o infondate, ma, al contrario, perche' e' stato ritenuto possibile superarle per via interpretativa; che ora il legislatore afferma, invece, forte della sua autorita' d'interprete autentico, che le leggi de quibus non erano suscettibili dell'interpretazione accolta dai giudici, ma (solo) di quella sostenuta dall'amministrazione dello Stato, ridando allora vita a quelle questioni di costituzionalita' che si era creduto di poter superare; che anche per la questione relativa al modo di calcolare gli aumenti periodici ("scatti") di stipendio o, se si vuole, ai criteri di applicazione degli "scatti" in relazione ai passaggi di qualifica, il principio di fondo dev'essere quello della parita' di trattamento fra le varie magistrature; che se e' vero che e' inequivoca la volonta' della legge del 1984 di mantenere una certa difformita' di trattamento fra i magistrati della Corte dei conti e tutti gli altri, e' anche vero che in realta' quella distinzione non si fonda sopra un esplicito disposto normativo di cui si possa, sic et simpliciter, denunciare l'incostituzionalita', bensi' sopra una prassi interpretativa assurta, per i magistrati della Corte dei conti, al rango di "diritto vivente", fondata sul complesso delle norme "autenticamente interpretate" dal secondo comma dell'art. 1 della legge n. 425/1984, ma non direttamente desumibile da esso; che, d'altro canto, l'adunanza plenaria (dec. n. 27 del 1983) non ha affermato che le norme "autenticamente interpretate" dal legislatore fossero da intendere come dettate per altri che per i magistrati della Corte dei conti, anzi ha riconosciuto che tale era, in effetti, l'originario ambito applicativo di quelle leggi, tanto e' vero che la loro applicazione analogica alle altre magistrature e' stata ritenuta possibile solo a decorrere dal 1 gennaio 1979, e non anteriormente; che la decorrenza 1 gennaio 1979 e' stata individuata, perche' quello era l'inizio dell'applicazione del nuovo sistema retributivo introdotto con legge 2 aprile 1979, n. 97, mai i giudici amministrativi hanno ritenuto che quel nuovo sistema retributivo, pur mantenendo esplicitamente (art. 9, secondo comma) l'istituto degli aumenti periodici, non ne contenesse pero' la disciplina e che questa non fosse piu' desumibile, come per l'innanzi, mediante il rinvio a quella propria dei dirigenti amministrativi statali; che da cio' deriva la necessita' di una integrazione analogica grazie al richiamo della disciplina in uso presso la Corte dei conti attesa l'impossibilita' di ravvisare alcun motivo di ordine giuridico o razionale per differenziare, sotto questo specifico profilo, i magistrati della Corte dei conti da tutti gli altri; che da cio' consegue che l'art. 1, secondo comma, della legge n. 425/1984, ponendosi esplicitamente come interpretazione autentica dell'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970', n. 1080, dell'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308, e dell'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, va inteso come diretto ad interpretare autenticamente, altresi', l'art. 9, secondo comma, della legge n. 97/1979, e precisamente ad interpretarlo nel senso che esso conserva, per i magistrati diversi dalla Corte dei conti, un regime degli aumenti periodici diverso e deteriore rispetto a quello riservato ai magistrati della Corte stessa; che, pertanto, se oggi si vuol denunciare una irrazionale ed ingiusta disparita' di trattamento, la fonte di essa va individuata non solo e non tanto nelle leggi n. 1308 e n. 134 del 1961, e nel d.P.R. n. 1080/1970, quanto e soprattutto nella legge n. 97/1979, beninteso secondo l'interpretazione che degli uni (esplicitamente) e dell'altra (implicitamente) ha dettato la legge del 1984; che emerge la mancanza di qualsivoglia giustificazione legale, etica e razionale. Non puo' parlarsi, infatti, di inconsistenza o insufficienza delle giustificazioni ipoteticamente adducibili, quanto di vera e propria impossibilita' di avanzare una sia pur dubbia ipotesi di giustificazione; che il parametro di costituzionalita' da invocare e', anche in questo caso, l'art. 3 con particolare riferimento al principio, costantemente osservato dal legislatore, tranne in questa occasione, di una sostanziale parita' di trattamento economico fra le varie carriere di magistratura (ivi compresa l'avvocatura dello Stato); che la Corte costituzionale, con sentenza 17 luglio 1975, n. 219, ha affermato che, pur, nel quadro della discrezionalita' legislativa in ordine alla determinazione del trattamento economico di carriere distinte, rappresenta violazione del principio di uguaglianza l'immotivata differenziazione retributiva di carriere per l'innanzi considerate costantemente meritevoli di un trattamento conforme; che si deve ancora osservare che la (sospetta) violazione dell'art. 3 della Costituzione, ridonda anche in (sospetta) violazione dell'art. 36 (principio dell'adeguatezza della retribuzione alla qualita' e quantita' del lavoro prestato); che le questioni sopra evidenziate sono state dichiarate manifestamente infondate dalla Corte costituzionale con ordinanza n. 1083 del 24 novembre-6 dicembre 1988 in Gazzetta Ufficiale, serie speciale, n. 50 del 14 dicembre 1988 sul presupposto della gia' avvenuta declaratoria di non fondatezza ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 413/1988; che al contrario le questioni stesse, lungi dall'essere state risolte mediante la sentenza or ora citata non vennero in tale sede neppure affrontate, essendosi in tale occasione la Corte limitata a ribadire la ratio del futuro delle norme innovative della legge n. 425/1984, senza evidenziare i motivi per cui le norme interpretative, che operavano sulle situazioni pregresse, non collidessero con il dettato costituzionale; che, pertanto, non appaiono allo stato risolti i dubbi di costituzionalita' evidenziati dal C.d.S. nelle ordinanze succitate e riassunti nella presente ordinanza; che appare, quindi, indispensabile richiedere alla Corte costituzionale un'ampia disamina ed una conseguente decisione in ordine alle questioni di costituzionalita' che implicano allo stato il pericolo di una grave rottura dell'equilibrio costituzionale tra i poteri legislativo e giurisdizionale; che le questioni enunciate appaiono rilevanti per la decisione della presente controversia.